Bioetica & Società n. 3 – 2004

2004 n. 3 settembre-dicembre (Anno II)

Editoriale (p. 5)

INTERVENTI

Franco Manti, La donazione come assunzione di responsabilità: il caso paradigmatico dei trapianti (p. 22)

Francesca Consorte, La Legge n. 40 del 2004: analisi e prospettive interpretative (p. 26)

Dino Moltisanti, Bioetica e mass media: lavori in corso. L’esempio emblematico della Legge italiana n. 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita (p. 37)

Pasquale Giuseppe Macrì, Note in materia di privacy e segreto professionale (p. 45)

Cecilia Veracini, Emergenza Amazzonia: la distruzione delle popolazioni e degli ecosistemi (seconda parte, p. 51).

ESPERIENZE E RIFLESSIONI DAL MONDO DELLA SCUOLA

Gabriella D’Anci, Mariangela La Licata, Roberta Patti, La bioetica all’Istituto Magistrale Statale «Regina Margherita» di Palermo. Intervento alla IV Conferenza Nazionale di Bioetica per la Scuola – Genova 5/6 novembre 2004 (p. 63)

Francesca Marasini, Didattica e bioetica: l’esperienza del Liceo Scientifico «E. Majorana» di Roma. Eredità mendeliana e frequenze alleliche: l’analisi dei cariotipi (p. 63)

Samuele Cappelli, Perla Luccherini, Silvia Barachini, Giacomo Bini, Cristian Gennai, Matteo Bagnoli, Mirco Pucci, Dignità della persona e ricerca scientifica. Intervento alla IV Conferenza Nazionale di Bioetica per la Scuola – Genova 5/6 novembre 2004  (p. 77)

CONVEGNI, RECENSIONI E CONTRIBUTI

Diletta Maria Cecilia Loragno
, L’embrione e i suoi diritti di persona (p. 87)

Il convegno Nazionale di Bioetica per la scuola di Genova – 5/6 novembre 2004 (p. 90)

Carlo Dal Canto, J. Testart, C. Godin, «La vita in vendita», Lindau, Torino 2004 (p. 88)


Editoriale

Proseguendo una consuetudine ormai avviata cercheremo di avanzare alcune considerazioni a partire dalle molte sollecitazioni contenute negli interventi del precedente numero di questa rivista.

Il contributo di Pasquale Macrì, a partire dal problema della utilizzazione delle cellule staminali embrionali, ci spinge a prendere coscienza del fatto che a livello medico siamo obbligati a scegliere concrete soluzioni operative e quindi ad adottare un’etica applicata che praticamente deve prescindere da complesse analisi teoriche in seguito alle quali molti, tra l’altro, rinunciano ad affrontare le tematiche bioetiche coinvolte.

Una tale prospettiva potrebbe permettere, per esempio, secondo l’autore, di rinunciare a considerare un tabù lo stesso embrione il quale compare sempre più prepotentemente nella discussione bioetica contemporanea. Ad analoghe conclusioni sembra anche pervenire l’intervento di Matteo Galletti, secondo il quale, constatate le difficoltà che si incontrano ad utilizzare il concetto di persona “come base comune della discussione intersoggettiva”, tale concetto dovrebbe essere abbandonato “affrontando i problemi bioetici in altro modo” ossia concentrando “l’attenzione sui contesti particolari in cui i problemi morali nascono e sulle relazioni affettive e personali al cui centro si collocano gli individui”. L’autore sembra quindi invitare a prescindere dalle tradizionali categorie filosofiche per mettere a fuoco emozioni, sentimenti e relazioni affettive.

Resta in ogni caso aperta, a nostro modo di vedere, la questione se sia possibile, come sostenuto da tali autori, effettuare un’analisi razionale delle problematiche bioetiche o agire in contesti particolari al di là di precomprensioni teoriche o se, al contrario, non sia pressoché impossibile separare i fatti dai valori (“La conoscenza dei fatti presuppone la conoscenza dei valori”, H. Putnam, Fatto/valore. Fine di una dicotomia , Fazi editore, 2004).

Carlo e Marina Casini, invece, ritengono che non sia possibile eludere le domande fondamentali intorno all’uomo, così legate al patrimonio giuridico-culturale della stessa Europa, per potere affrontare questioni decisive come quelle connesse agli interventi sugli embrioni umani ed invitano in tal senso i rappresentanti dei popoli ad assumere con coraggio il valore dell’uomo “come soggetto giuridico, dotato sempre di una uguale dignità dal primo istante della fecondazione alla morte”.

A questo punto del nostro cammino, a quasi due anni di distanza dai primi passi compiuti per dare vita a questa pubblicazione, riteniamo opportuno chiederci se, accanto al tentativo di raccogliere contributi diversi per orientamento e ambiti di partenza, non valga la pena di intraprendere, con umiltà ma anche con decisione, un percorso attraverso cui sia possibile concentrare la discussione e focalizzare la ricerca su alcune questioni che troppo spesso rischiano di rimanere ai margini del dibattito culturale, sociale ed educativo, ma dalle quali riteniamo sia necessario partire per potere offrire un serio sostegno a quanti ritengono che la bioetica debba svolgere un fondamentale ruolo in tali ambiti. Un proposito del genere ci sembra del tutto coerente, tra l’altro, con quanto già dichiarato a livello di intenti fin dal primo editoriale di questa rivista e pertanto vorremmo invitare, sia quanti sono già intervenuti su queste pagine sia chiunque altro, a fornire un contributo in tale direzione.

Conosciamo la fatica e le difficoltà insite in un simile impegno. Siamo consapevoli delle possibili obiezioni che la proposta potrebbe suscitare, ciò nonostante riteniamo fermamente che certe questioni siano ineludibili e quindi ulteriormente dilazionabili soltanto al prezzo di limitare il confronto entro orizzonti parziali e settoriali salvo poi ritrovarsi ad inasprimenti di posizioni e di schieramenti su questioni concrete.

Ma quali questioni dovrebbero essere affrontate per procedere in tale direzione? Ne indichiamo, anche sulla scorta di quanto emerso dai lavori pubblicati in questa rivista, alcuni che riteniamo particolarmente interessanti:

– è realistico o è solo accademico pensare che “la nuova biologia” potrebbe riuscire laddove si sono infranti persino i disegni più arditi delle vecchie ideologie politiche ovvero la realizzazione di una umanità nuova e sostanzialmente “denaturalizzata”? Ed in caso affermativo ciò costituirebbe un grave rischio o un aspetto tutto sommato positivo di cui non ci si dovrebbe preoccupare?

– esiste o no una “egemonia” culturale secondo la quale le diverse prospettive etiche sarebbero del tutto indifferenti a tal punto da rendere problematica la stessa educazione ai valori nei confronti delle nuove generazioni? Ed eventualmente questo dovrebbe spaventare o no?

– La tendenza contemporanea alla iperspecializzazione può costituire una delle cause principali della diffusa deresponsabilizzazione (si può parlare infatti di una diffusa certezza di innocenza, da parte del ricercatore, in assenza di intenzione di nuocere e di potere nuocere) nell’ambito della medesima ricerca? E in tal caso quali strategie potrebbero risultare più efficaci al fine di un superamento di una simile

– modalità di pensiero che, non adeguatamente fronteggiata, potrebbe contribuire alla maggiore determinazione in senso nichilistico dei nostri orizzonti?

– Un interrogativo cruciale che si presenta con sempre maggiore frequenza sembra essere quello della possibilità di introdurre delle limitazioni alle pratiche di sperimentazione sulla vita umana condotte nei vari contesti mondiali, talvolta prive dei più elementari elementi di controllo. Ci chiediamo se sia possibile superare la posizione che distingue tra una ricerca di per sé sempre positiva od in ogni caso inarrestabile e le sue applicazioni da discutere e regolamentare o quella che tende a separare tra una ricerca pura non problematica da un’altra con implicazioni sociali criticabili. Rimanendo ferma la consapevolezza della impopolarità di una impostazione che miri e porre concreti “freni” alla libera ricerca, formuliamo la domanda se sia ancora possibile distinguere la ricerca scientifica dalle sue applicazioni pratiche, almeno per le questioni più significative e più urgenti della bioetica e, quindi: non siamo obbligati a considerare l’impresa scientifica, nel suo insieme, oggetto di valutazione etica?

– E la discriminazione genetica, non rappresenta forse uno dei pericoli reali più imminenti per il nostro secolo?

– Il tema della natura non va urgentemente ripensato in maniera decisiva e radicalmente nuova alla ricerca di un paradigma liberato da vincoli collegati al puro sfruttamento, ad un abusato prometeismo o ad uno sviluppo non più sostenibile?

– Non è inoltre realistico pensare che procedendo nella direzione dell’attuale subordinazione socio-politica alle logiche di mercato ed alle conseguenti leggi del profitto si rischia fortemente che la vita possa essere interamente modificata in merce e quindi in oggetto di scambio e sorgente di profitto?

In ogni caso riteniamo che l’intera società dovrebbe avere l’occasione di contribuire alla elaborazione pubblica di un progetto di ripensamento di tutto il nostro rapporto con la produttività tecnica, con la elaborazione e la trasmissione dei saperi e al disegno della umanità futura da consegnare alle prossime generazioni. E’ veramente “tempo di discussione pubblica” affinché le nuove prospettive “inquietanti e promettenti insieme siano governate dagli uomini e dal loro senso della libertà” (S. Rodotà, la Repubblica , 6 dicembre 2004). Oggi è “più che mai necessario ridefinire i termini di un nuovo contratto sociale tra la scienza e la società che tenga conto della transizione da una libertà e una fiducia incondizionate all’introduzione della responsabilità e della rendicontabilità” (C. Rubbia, Il Sole – 24 Ore, 29 agosto 2004).

                                                   Pontedera, 30 dicembre 2004