A. Porcarelli, Che cos’è la filosofia? Tra scienza e religione, Diogene Multimedia, Bologna 2016.
Che cos’è la filosofia? La domanda è di quelle che fanno tremare le vene e i polsi, non per niente si tratta di un interrogativo che risuona nella nostra cultura fin dai suoi albori, cioè fin dal momento in cui la filosofia stessa ha preso forma nella cultura greca e si è riconosciuta (chiedendo contestualmente di venire riconosciuta) come una modalità autonoma di approccio alla realtà e alla cultura.
Il testo di Porcarelli affronta questo tema con uno stile problematizzante, senza dare nulla per scontato, come è proprio di un approccio filosofico, anche perché – precisa il Nostro – “le domande sulla filosofia sono già problemi filosofici”. Il primo interrogativo riguarda precisamente il senso del nome, della parola Philosophia, con cui – in greco – si è ad un certo punto deciso di identificare un certo modo di intendere la vita, la conoscenza, il rapporto con la cultura e l’educazione. L’indagine sul senso del nome viene condotta in modo approfondito, a partire dalle sue origini (e qui scopriamo che il termine non era in uso al tempo di Talete e dei cosiddetti filosofi “presocratici”) per cui si vaglia l’ipotesi che l’uso del termine per indicare ciò che noi oggi concepiamo come filosofia si sia strutturato e consolidato al tempo di Platone, andando a recuperare, in una sorta di “affiliazione retrospettiva”, illustri intellettuali come Talete, Eraclito ed altri. Molto interessante, sempre nella prima parte del testo, la riflessione sull’origine dell’atteggiamento o spirito filosofico che – come diceva Aristotele – ha le sue radici interiori nella capacità di provare meraviglia. In che senso la meraviglia è alle radici non solo della filosofia, ma anche dell’arte, della scienza e di tutte le più nobili attività dello spirito umano? La meraviglia è un’emozione, che si collega in qualche modo al timore che – in questo caso – sarebbe il timore di non riuscire a conoscere ciò che ci interpella e da cui ci lasciamo interrogare. Essere sensibili al timore di non conoscere significa temere l’ignoranza come un male, perché ogni uomo è naturalmente orientato alla conoscenza, tanto da provare una sorta di sgomento di fronte al timore di un insuccesso, ma si tratta di uno sgomento “attivo” e attivante, che si nutre della speranza di riuscire a capire ciò che attualmente non si è in grado di cogliere e, dunque, muove la mente verso la conoscenza, l’approfondimento, in un interrogarsi sempre risorgente finché l’ultimo “perché” non avrà avuto risposta. La filosofia è dunque un “amore per la sapienza”, espressione che a sua volta può essere letta in più di un modo: nell’ottica pitagorica e platonica “sapiente è solo il dio” e l’uomo può dirsi al più “innamorato della sapienza”, mentre nell’ottica aristotelica la sapienza è una virtù dell’intelligenza (assieme all’intelligenza e alla scienza) un “modo di essere e di agire” che l’uomo consolida dentro di sé ed in forza del quale acquisisce un’attitudine (abito operativo) a spingere la propria capacità di intendere e ragionare fino alle ragioni più profonde, alle cause prime, ai fini ultimi.
La seconda parte del volume è dedicata al rapporto tra filosofia e scienza, non perché l’autore abbia o dichiari la pretesa di fare un corso intensivo di filosofia della scienza, ma perché – per esplorare a 360° la carta di identità della filosofia -, specialmente nel mondo moderno, è importante chiedersi quale sia il suo rapporto con la scienza, con particolare riferimento alle cosiddette “scienze esatte”, empiriche, sperimentali che – nell’immaginario contemporaneo – rappresentano la quintessenza della scientificità. Oggi, infatti, quando ci si riferisce ad uno “scienziato”, nessuno pensa ad un letterato, filosofo o poeta, ma piuttosto ad un fisico, un chimico, un bio-tecnologo. In realtà per Platone e Aristotele non solo la nascente filosofia era una scienza (nel senso di un sapere argomentato e rigoroso distinto dal mito o dall’opinione), ma anzi era la scienza per antonomasia, la scienza più “alta” e nobile. Porcarelli illustra dunque il processo storico che ha portato – nel corso dei secoli – ad un parziale “divorzio” tra filosofia e scienza, dopo la nascita delle scienze sperimentali e – soprattutto – in età positivista, per arrivare a mostrare come il panorama culturale si sia oggi molto evoluto e vi siano da un lato dei presupposti filosofici della scienza che sono impliciti, ma innegabili. Dall’altro lato vi sono degli “spazi di confine” tra filosofia e scienza in cui alcune categorie filosofiche (come quella di analogia) vengono riprese e recuperate in ottica scientifica, per il loro forte potere euristico. Particolarmente interessante è anche la questione del rapporto tra scienza ed etica (e di un’etica della scienza) che l’Autore pone in termini lucidi e rigorosi.
La terza ed ultima parte di questo agile ma ricco volume è dedicata ai rapporti tra filosofia e teologia, anzi – nel contesto pluralista e multiculturale in cui ci troviamo – il rapporto sarebbe tra filosofia e teologie. Dopo avere dichiarato questa opzione di tipo culturale, Porcarelli comunque precisa che – per amore di sintesi – ci si concentra soprattutto sul rapporto tra filosofia in genere e fede cristiana, nell’ottica di un dialogo proficuo e fecondo, che si ispira a quella bella immagine utilizzata da Giovanni Paolo II nella Fides et ratio: fede e ragione sono come le due ali che, solo muovendosi insieme e battendo all’unisono, possono consentire all’anima di innalzarsi in alto, verso la verità. Si affronta anche il tema, dibattuto e controverso, della possibilità e limiti di una filosofia cristiana. Di per sé – precisa Porcarelli seguendo in questo Gilson – una filosofia non è né cristiana, né atea, né musulmana, ma solo più o meno in grado di avvicinarsi alla verità; dal punto di vista storico, però, la domanda ha un senso, perché è un dato di fatto che vi siano stati uomini, di fede cristiana, autenticamente appassionati alla riflessione filosofica. Come leggere dunque questo dato storico? In fondo il filosofo cristiano si chiede se tra ciò che la sua fede crede essere vero vi sia qualcosa che la sua ragione possa sapere, o addirittura dimostrare, essere vero. Se il debito nei confronti della fede (che rimane tecnicamente esterno rispetto all’argomentare filosofico, che invece deve essere autonomo) si riferisce alla fede cristiana, allora potremmo parlare di una filosofia cristiana, non tanto come intenzione programmatica (il filosofo è “innamorato della sapienza” tout court), quanto piuttosto come condizione esistenziale che si viene a determinare di fatto e che ha un peso specifico indubbiamente rilevante dal punto di vista storico e culturale.
Il testo nel suo complesso presenta un impianto argomentativo solido e rigoroso, ma lo stile di scrittura è scorrevole e si presta ad “introdurre” alla riflessione filosofica anche persone che non abbiano già una base culturale in tal senso, perché il lettore viene quasi “preso per mano” ed accompagnato lungo quelli che potremmo chiamare – evocando un’immagine di Aristotele – i sentieri della meraviglia.
Nicoletta Marotti
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